Giovanni Cappelli nasce a Cesena il 17 Febbraio 1923. Avviato all'apprendistato come falegname, solo a diciassette anni potrà frequentare il Liceo Artistico a Bologna, e, più tardi, i corsi della Scuola del Nudo presso l'Accademia di Belle Arti della stessa città, dove ha come insegnante Virgilio Guidi.
Nel 1947, desideroso di entrare in contatto con i movimenti della cultura artistica contemporanea e di tentare la fortuna nella grande città, si trasferisce a Torino con l'amico Alberto Sughi. Qui i due vivono tre mesi di aspra esperienza di solitudine, campando miseramente vendendo piccoli quadri di paesaggio.
Nel 1949, con Caldari e il solito Sughi, parte alla volta di Roma dove frequenta il Circolo degli artisti e il gruppo del “Portonaccio” stringendo amicizia con Muccini e Vespignani. Esperienza ben diversamente ricca della precedente dalla quale riceve un nutrimento che si rivelerà essenziale per i successivi sviluppi della sua pittura.
Ma è nel febbraio del 1959, quando si trasferisce a Milano attratto dal clima artistico della città più viva e culturalmente avanzata, che la sua pittura, pur già largamente nota e stimata (era già stato ammesso, ad esempio, dalla giuria presieduta da Roberto Longhi alla XXVIII Biennale veneziana) conquista una più libera sintesi formale e strutturale. Dopo la prima Mostra personale alla Galleria Bergamini, dedicata ad aspetti della vita e del paesaggio di Lipari, protagonisti delle tele di Cappelli diventano figure alienate e atmosfere artificiali della civiltà urbana.
Tra il lavoro, le mostre e le rade amicizie, tra le quali spicca quella di Gianfranco Ferroni notevole artista e grafico toscano, scorre la vita milanese di Cappelli. Nel 1963 è presente alla rassegna Quaranta artisti italiani organizzata dalla Quadriennale di Roma ed ospitata a Sydney. Nel 1972 esce per le edizioni Petrus di Milano la prima monografia dedicata all'artista con testo introduttivo di Marco Valsecchi. Nel 1974 il Comune di Cesena gli dedica un'ampia antologica con catalogo che raccoglie brani critici di Mario De Micheli. Sempre con testi di De Micheli, oltre a testimonianze di Carrieri, Valsecchi, Santini e Modesti esce nel 1983 per le Edizioni Bora di Bologna una documentata monografia, seguita da quella edita da Mondadori con testi di Formaggio in occasione della grande Mostra allestita al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1989.
Gli ultimi anni, fino alla morte avvenuta nel 1994, Cappelli li trascorre nel silenzio e nella meditazione sulle cose del mondo nel buen retiro di Fornico sul lago di Garda.
L'esordio di Cappelli con le tematiche rurali richiama apertamente i mondi pittorici di un Fattori o di un Viani. Ma presto il riferimento a certo ottocentismo pittorico e l'influenza macchiaiola viene superata nella rivelazione di una propria via alla pittura che Cappelli ebbe nel clima culturale della Milano degli anni Cinquanta. Il “realismo” sui generis di Cappelli - sostiene Formaggio - che pure non aveva mai subito le costrizioni ed i vincoli di un qualche realismo ideologico, viene sempre più nettamente lasciato alle spalle, tanto che già nel 1957 si nota una evidente recezione di moduli espressionistici. "Ed allora i volti si macerano, in mezzo alle grandi nebbie milanesi, si sfanno di nebbia, si rigano e si prosciugano senza sguardo... compaiono le tetre periferie... l'atmosfera dura e i laceri fantasmi della Milano dei poveri". Influenzato da un lato dalla poetica esistenzialista del "Portonaccio" e dalla lettura di Camus, Sartre, Beckett e Pavese, subisce il fascino ed il terrore dell'emarginazione. Ed è proprio "la grande università della miseria" - che già Van Gogh aveva esaltato e definito - che viene a costituire il mondo poetico di Cappelli.
Ma già con gli anni settanta la tensione si stempera. "... Compaiono le timide dolcezze dei rosa e degli azzurri, che usciranno poi più intensi e a gola spiegata negli anni ottanta fino agli studi più recenti". A riprova di questo cammino dal buio alla luce, nelle riceche e negli studi degli ultimi anni si riconosce - scrive Formaggio - "come un armonioso canto... di rara e preziosa felicità coloristica per nulla esteriore..."
I due oli posseduti dal Museo (Fiori secchi nel giornale, 1992 e Figura sola, 1993) documentano come nel mondo figurale di Cappelli, pur dominato dalla crescente solitudine dell'uomo contemporaneo, ci sia anche spazio per un estremo inno alla vita che ravviva l'infelicità e la fragilità dell'esistere "... con il canto gentile e sommesso di un dolce colore che vivifica e carezza anche la più povera realtà".